I piccoli spacca-pietre

Pim,pim,pim.Tutto il giorno, tutti i giorni. Pim,pim,pim.

Nessun genitore che gli dica di stare lontano da quei buchi, che quelli non sono giochi per bambini, che è pericoloso, che è ora di andare a scuola, di fare la nanna, di mangiare.

Nessuno, non si sente nessuno.

Solo il rumore di un mortaio in ferro su pietre caldissime, per sminuzzarle, per farne ghiaia. Tutto il giorno: Pim, pim, pim Migliaia di bambini affollano le cave di ghiaia di Kipushi, città frontaliera a pochi km da Lubumbashi, al confine con lo Zambia, una delle zone minerarie più ricche al mondo.

Centinaia di camion carichi di centinaia di migliaia di dollari di materie prime passano ogni giorno la frontiera e le miniere a cielo aperto, i bambini li vedono passare, ammirati. Milioni di dollari passano davanti ai loro occhi impolveriti tutti i giorni e non rimane niente. Tragici paradossi. I bambini e le bambine sono obbligati, o meglio li obbligano le condizioni, i genitori, insieme ai genitori, le cui mamme spesso portano i fratellini e le sorelline più piccoli sulle spalle. Che si abituino in fretta, il futuro ha bussato dopo pochi mesi di vita. A casa (casa?) non ci sono abbastanza soldi e allora ecco che per 2 o 3 dollari al giorno passano ore e ore a spaccare pietre. Ma loro sono quelli fortunati.

Altri bambini sono nel girone poco più sotto, i dannati del rame e del cobalto. Stanno coi piedi nudi in un fiume che trasporta i rifiuti chimici delle miniere di rame. Con un secchio tirano su l’acqua per lanciarlo su un tappeto fatto di sacchi di patate e un altro bimbo, sempre a piedi nudi, pigia pigia per separare i residui di materia (contenenti basse percentuali di rame e cobalto) dal resto. Il tutto viene poi messo in secchi e venduto a intermediari che lo venderanno ad altri che lo lavoreranno ulteriormente per far emergere le materie preziose pure, li faranno pronti all’uso e partiranno verso EU, Cina, USA e poi a casa mia, tua, nostra, vostra. Quelli che spaccano pietre intanto scavano la terra e ogni tanto un rumore sordo echeggia in questa terra disperata. Buchi troppo profondi, le pareti non hanno retto e li hanno travolti, finito. Silenzio. Chi è rimasto ricomincia: pim,pim,pim.

Ci si occupa spesso dei minerali di sangue, il coltan ad esempio, che deve essere tracciato, certificato etc etc…Il rame è considerato pulito, nessuna certificazione, eppure c’è ancora chi rischia la propria pelle per due lire per la nostra civiltà, come i tantissimi bambini che non conosceranno mai la vita spensierata dei nostri figli. Sono circa 4000, dicono alcune cifre, i bambini e le bambine che affollano le cave di ghiaia e i fiumi che trasportano i rifiuti tossici. Ma questi sono solo quelli recensiti, sono molti di più. UNICEF stima in 40,000 il numero di bambini che lavora in cave e miniere nel solo Katanga. Il sig. Mwanabute, del Comitato di Coordinamento per il Monitoraggio dei lavoratori bambini, li segue sconsolato.

Oggi ci ha accompagnato durante questa visita, ma il comitato non ha neanche i fondi per il carburante necessario a percorrere giornalmente i pochi km che li separa dalla miniera. Non ci sono fondi per occuparsi di loro. I soldi dovrebbero servire ad accompagnare le famiglie grazie ad un approccio olistico: apprendimento e start-up di nuovi mestieri (agricoltura, taglio e cucito…) e nello stesso tempo a garantire la scolarizzazione dei bambini, circa 100$ ognuno. Ma non ci sono fondi, talmente sono le emergenze, loro sono solo l’ultimo dei problemi. Ma che problema. Mi faccio qualche ingenua domanda: -Perché nessuno impedisce questa vergogna? Le autorità hanno provato a cacciarli, ma senza fonti di reddito alternative scoppierebbe una rivolta, peggio del male da curare. -Perché non ci si occupa di creare comitati che obblighino gli acquirenti a pagare un giusto prezzo alla ghiaia e alle materie che escono grazie al lavoro minorile? -Perché sarebbe una sorta di legalizzazione e non va bene, ecco che allora il mercato nero, il prezzo al ribasso ha la meglio.

Perché i ricchissimi della regione, le multinazionali, i businessman etc etc non si occupano di loro? Perché non rientrano nelle loro priorità filantropiche, spesso normate da contratti ad hoc con lo Stato congolese, pensati molti anni fa e che oggi sarebbero da rivedere. Io penso anche che, nonostante le enormi ricchezze, non si è venuto ancora a creare quel circolo virtuoso che servirebbe a rilanciare il paese. I benefici di quelle materie vanno a finire nei nostri paesi, con buona pace di coloro che pensano che dare aiuto a un migrante che fugge da situazioni terribili sia un costo eccessivo per l’Italia. Il rame e il cobalto così estratti finiranno nelle mani di qualche blasonata multinazionale, che ne farà un prodotto finito pronto ad essere acquistato da me e da voi. Con buona pace delle nostre coscienze, spesso incapaci di comprendere il legame che esiste fra un barcone di disperati e la nostra comoda poltrona davanti al TG delle 20. Il Global Integrity Found ha stimato in 1,42 triliardi di € l’illecito fuggito dall’Africa negli ultimi 30 anni.

E infine: il paese non ha ancora sviluppato una propria industria, larghissima parte della popolazione attiva, con un impiego, lavora per lo Stato, con stipendi miserrimi, il che lascia spazio a troppa corruzione, che impedisce di fatto uno sviluppo armonioso del paese. Il rischio è quello di perdere il treno che la super-quotazione delle materie prime sta offrendo, da 10 anni a questa parte, alla Repubblica Democratica del Congo, con lo spettro di una ricaduta in tempi ancora più bui di quelli passati, una volta che le quotazioni del rame si sgonfieranno.

Pim,pim,pim.


Articolo di Alba Onlus / 29 ottobre 2014